01 Veneziamusica - LUISA TURCHI, storica dell'arte, Giornalista

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Melodie stridenti e struggenti tra cielo e terra
Sul dipinto «A ma femme» di Marc Chagall
di Luisa Turchi


Marc Chagall (Vitebsk, 1887-Saint-Paul-de-Vence, 1985) è l’artista che forse più di ogni altro ha rappresentato nelle sue opere l’aspetto visionario, sacrale e profano della musica, fluido emozionale dell’inconscio ed espressione dell’immaginario soggettivo e fantastico.
«Ebreo errante» per tradizione e di fatto, visse prevalentemente tra la Russia e la Francia, conservando sino alla fine i suoni e i colori del suo paese d’origine, Vitebsk. Permeato inizialmente dall’esprit russe e dalle concezioni simboliste del Mondo dell’arte dei maestri pietroburghesi – tra i quali Dobužinskij, Diaghilev e Stravinskij – passò attraverso il Fauvismo e l’Espressionismo, il Cubismo e il Futurismo, il Surrealismo e le Avanguardie russe, per citare solo alcuni dei movimenti che lo influenzarono, sapendo alternativamente cogliere e rifiutare tutto ciò che lo interessava o che al contrario costituiva un tradimento della sua libertà interiore e un allontanamento da quella estetica personale connotata dalla dimensione lirico-fiabesca, per lo più giocosa e senza tempo, in lui prevalente. In A ma Femme (Parigi, Musée National d’Art Moderne), dove tutto ciò che è sogno e ricordo gioca un ruolo fondamentale, ci troviamo, infatti, di fronte a una straordinaria invenzione poetica: una proiezione della mente e dell’anima, probabilmente scaturita dall’ascolto del Flauto magico di Mozart, liberamente trasfigurato in immagini e sensazioni della memoria, inerenti anche al vissuto di Chagall. Il dipinto, dall’accentuato cromatismo, si divide in due parti, ognuna delle quali pregna di significati simbolici. Sulla
destra, nuda e mollemente distesa su di un letto, come l’Olympia di Manet o le Veneri di Tiziano, c’è Bella Rosenfeld, moglie del pittore: dietro di lei, una nuvola di fiori lillà racchiusa in un vaso – il viola è il colore della temperanza – cerca la forma armonica del bosso sempervirens. Nella camera della donna entrano i tetti e le case di Vitebsk, il paese che ha visto nascere il loro amore. La sfera materiale dei sensi è incarnata in alto dal capro – simbolo di libertà e trasgressione – il quale però, nel sorreggere una lampada sacra, viene a costituire un preludio sia allo stato del sogno a occhi aperti di Bella che al desiderio di misticismo della medesima (non a caso il mantello bruno-grigio dell’animale trapassa nel blu chiaro, il colore dell’aspirazione spirituale). Si passa quindi alla parte sinistra del quadro, ovvero alla raffigurazione della visione onirica in atto, in cui personaggi e oggetti fluttuano nell’aria notturna e lunare, sulla scia della singspiel mozartia-na, evocata dalle note di Tamino, il personaggio intento a suonare il flauto magico, seguito dalla regina della notte Astrifiammante con il suo corteo di dame. Questi personaggi artefatti non sono che ombre rispetto alla coppia di sposi, ben evidenziata, che rappresenta Chagall stesso insieme alla moglie, vestita di bianco. Il violinista che suona appena sopra le loro teste, adombra non solo l’ispirazione artistica tout court ma ricorda anche un musicista appartenente alla famiglia del pittore, come lo zio Neuch. La passione dell’artista per Bella si respira nel rosso usato a profusione nel quadro, un colore che assume una accezione meno positiva o vitale nella figura più cupa dell’angelo caduto, dalle grandi ali rivolte verso la terra e il cielo, i piedi legati, a rappresentare la prigionia dei vizi. Il pesce più in basso – simbolo fallico – ha con sé un ombrello: ideazione, quest’ultima, dal sapore boschiano e surrealista. Il vicino animale, simile a un agnello, può avere invece un significato ambivalente, incarnando sia le pulsioni autodistruttive dell’istinto che gli impulsi oblativi, o le intenzioni. Il biancore della luna richiama la purezza del velo da sposa e del violino proteso verso l’angelo, che è stato
fornito da mani divine, come ancora di salvezza e tramite verso «i piani alti» dai quali giunge l’eco della musica celestiale, ritenuta stridente dagli animali, che non la possono comprendere nella sua intima essenza. La ritualità della spiritualità hassidica, sentita come propria dall’artista, che non seguiva il giudaismo ufficiale, deriva da una esaltazione
della quotidianità nella quale il divino è onnipresente ed è qui scandita dalla pendola dell’orologio. Essa segna sull’uno, simbolo dell’essere umano e del principio attivo nonché indice del processo d’individuazione, inteso come capacità di armonizzare le facce contraddittorie della psiche e quindi come aspirazione verso un nuovo indirizzo di vita, che avrebbe inizio con il matrimonio. Il blu profondo della notte è dominante e denota lo stato irreale del sogno; l’albero, che presiede alla fertilità, mette in comunicazione i tre livelli del creato, ovvero il sotterraneo, tramite le radici, il terrestre, attraverso il tronco e i rami, e il celeste, per mezzo della cima che si protende verso il cielo. Potrebbe inoltre indicare anche le due valenze femminili e maschili che coabitano nella psiche, ovvero l’anima nell’uomo e l’animus nella donna[1]. Ci troviamo di fronte, quindi, a un’opera che, obbedendo a criteri relativi allo stile pittorico chagalliano, assume la stessa valenza di un viaggio onirico e musicale: un omaggio a colei che Chagall aveva sposato nella sua Vitebsk, nel 1915, e che aveva tradotto per lui nel 1928 Ma Vie[2], libro delle memorie dell’artista.

Versione cartacea:
Melodie stridenti e struggenti tra cielo e terra.
Sul dipinto «A ma femme» di Marc Chagall, di Luisa Turchi
In: “Venezia Musica e dintorni”, Euterpe Venezia, anno V, n. 20, gennaio-febbraio 2008, pp. 62-63.

[1] I simboli del sogno, di Serena Foglia, Roma, 1998.
[2]  Ma Vie, Parigi, 1931.
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