06 Finnegans - LUISA TURCHI, storica dell'arte, Giornalista

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Sonorità visive
L’anima del suono al laboratorio di Ricerca d’Arte Contemporanea Pardes
di Luisa Turchi


Un “concerto estetico e spirituale” per impegnare i cinque sensi e la mente: ecco ciò che è stato L’anima del suono, mostra a cura di Maria Luisa Trevisan, che ha trovato uno spazio eletto presso il Laboratorio di Ricerca D’Arte Contemporanea Pardes costituito nel 2004 nel parco storico e nella barchessa di Villa Donà dalle Rose di Mirano (Venezia).
È proprio Maria Luisa Trevisan, curatrice dell’esposizione che, nel catalogo della mostra, ci ricorda l’affinità tra suono e anima “la parte più spirituale ed immortale dell’uomo, in molte filosofie, considerata il principio vitale di tutti gli esseri viventi” e al tempo stesso “la parte, il nucleo, il centro di uno strumento ad arco”[1].
In qualsiasi opera d’arte il colore come presenza o assenza è fondamentale per la nostra percezione visiva ed emozionale. Per Kandinskij, in particolare, il legame tra colore, suono e anima è strettamente connaturato, per cui il vero artista è in grado di colpire con l’occhio-martelletto il giusto tasto-colore, facendo vibrare al meglio l’anima, strumento dalle molteplici e sensibili corde. Valga in tal senso anche l’ambiguità etimologica fra i due termini latini chorda (la corda) e corda (i cuori). E ancora, sempre secondo Kandinskij, “il suono musicale giunge direttamente all’anima”, trovandovi un’eco soltanto perché l’uomo ha già “la musica in sé”. Ma l’anima del suono emesso e il suono dell’anima ricevente possono vibrare all’unisono? O sono piuttosto entità alla ricerca di un’unione tesa all’infinito?
Una melodia o un insieme di suoni a se stanti possono produrre in noi uno stato di coscienza alterato che si accompagna all’immaginazione o al ricordo interiore. Massimo D’Azeglio si chiedeva se la musica non fosse “una lingua perduta, della quale abbiamo dimenticato il senso, e serbata soltanto l’armonia”.
Le partiture musicali e gli strumenti, indipendentemente dai loro suonatori, conservano in se stessi la potenzialità e la bellezza del suono, che la riproduzione artistica contribuisce a fissare per l’eternità allo stato di idea e opera figurativa o astratta, a due o più dimensioni. Myriam Zerbi pone l’attenzione anche su come colore e suono vengano sovente a contatto: “un suono può dirsi luminoso, si parla di quadri musicali, di sonori cromatismi o di figurazioni ritmiche”[2].

Alfred North Whitehead, nei Dialogues, sosteneva anche che “arte è imporre un disegno all’esperienza, e il nostro godimento estetico sta nel riconoscere quel disegno”: talvolta il disegno è immediatamente percepibile agli occhi, altre volte richiede un maggior tempo per essere interpretato. Così ne La voce ascolta (2008) dell’artista Tobia Ravà, campeggia in un light box un grande orecchio formato unicamente da spirali di numeri, il cui significato va tuttavia oltre i numeri stessi: in essi ritroviamo, infatti, il valore ghematrico[3] e teosofico della sequenza numerica di Fibonacci[4]. Se la parte interna dell’orecchio è composta da numeri che corrispondono a parole come “udito”, “suono”, “voce”, “frequenza”, “ritmo” o “musica”, quella esterna, che si espande nell’universo, genera significati che ruotano intorno alla sfera dello spirito e della mistica ebraica, come “amore”, “uno”, “verità”, “il giardino dell’Eden”, “l’albero della vita” e “Dio”, fino all’ “esplorazione del sentiero del latte” che rimanda alla Via Lattea. E ancora si nasconde un’invocazione biblica in un’altra opera di Ravà, Tritrombo superno (2009), in cui compaiono, in un unico assemblaggio, una tromba, un corno da caccia e un trombone saldati insieme con la fiamma ossidrica (rifacimento tridimensionale di un suo dipinto del 1983 L’anima del suono che fornisce il titolo all’esposizione). L’arte di Ravà, influenzata anche dagli studi sulla kabbalah del filosofo ebreo medievale Isaac Luria, si esplica quindi in una sorta di decostruzione dell’anima del mondo “fatto di idee, concetti, quindi parole”, attraverso un’analisi del suo parallelismo numerico, rivisitato secondo una visione grafico-pittorica e scultorea personale. Il concetto di anima mundi o anima del mondo rimanda al pensiero del filosofo Pitagora, per il quale il moto delle sfere celesti nell’etere produce suoni che altro non sono se non espressioni di rapporti numerici, manifestanti l’armonia cosmica. Platone descrive inoltre nel Timeo la maniera in cui il Demiurgo plasma l’anima del mondo, a partire dall’Uguale, incorporeo e sempre identico, e dall’Altro, corporeo e sempre mutante, ottenendo come risultato una terza sostanza intermedia che poi viene divisa e ricomposta secondo una progressione numerica armonica (numeri appartenenti al sistema acustico pitagorico). D’altronde si sa che la musica - una delle sette arti liberali - in quanto scienza speculativa collegata a proporzioni numeriche, rientrava nel quadrivium, accanto ad aritmetica, geometria e astronomia.
Ogni melodia che si rispetti nasce da un insieme di note, secondo un ordine stabilito: Ariela Böhm, nel suo pentagramma dai riflessi metallici Il posto delle note (2000), adagia su corde di ottone, quasi fossero petali, alcuni fogli di spartiti modellati in terracotta a tecnica Raku che portano con sé i segreti di una musica fatua e grave al tempo stesso. La forza della voce nietzschiana di Also sprach Zarathustra (2006) è scolpita per sempre nel marmo nero e rosa dei dischi di Davide Bertocchi, alla maniera di uno storico successo canoro destinato a non svanire mai, mentre in Se mergere (2008), opera di Paolo Tommasini, è congelato l’effetto sonoro e ondulatorio del tuffo nell’acqua del Nuotatore di Paestum, la cui silhouette è attualizzata dai colorati cd musicali che la compongono. Ma se, per finzione, la carne di un corpo può essere formata da dischetti tecnologici, uno strumento musicale vero e proprio può persino diventare carne solcata da vasi sanguigni come nella macabra Tromba (2007) di Simone Racheli.
Fernandez Arman, celebre artista membro del gruppo Nouveau Réalisme, compie un’operazione di derivazione neodadaista, con rimandi all’espressionismo astratto, in Senza titolo (2004), dove strisce di colore verde e blu si dipartono da una fila di pennelli allineati e sfalsati che si congiungono verticalmente con pezzi di chitarra. Giuseppe Chiari in Chitarra (2001) accosta invece l’oggetto-strumento ad uno spartito scarabocchiato di colore e alla scritta “Fluxus”, nome del movimento di cui fece parte negli anni Sessanta, che promuove un’arte totale
e fluida, aperta alla commistione di tutti i materiali possibili e indeterminata come il flusso della vita stessa intesa come evento artistico. Conosciuto a livello mondiale per le sue opere a collage, secondo particolari tecniche come le chiasmage a rilievo, è Jiři Kolář, che con i suoi infiniti “ritagli” cartacei di note e parole in bianco e nero, stampati uniformemente e accostati margine a margine, ne La mela che canta (1985) ci restituisce un’immagine metafisica di un “frutto” musicale tra cielo e terra.
 
In alcune opere le raffigurazioni di strumenti di vario tipo, quali trombe, violini o flauti, si accompagnano a quelle dei suonatori. Nel dipinto I flauti di Maura Israel, mani prese dal fuoco della musica compaiono da più parti sulla tela a sottolineare l’intensità di un concerto in esecuzione, mentre in Figura con flauto di Ion Koman una donna nuda dalle proporzioni vagamente boteriane è raffigurata rapita dai suoi pensieri, con il suo strumento fra le mani, all’altezza del cuore. Sospeso in un tempo dilatato tanto quanto la melodia che probabilmente sta suonando, gli occhi socchiusi nel volto compreso, è il violinista in movimento de Il lunghissimo istante (2009) di Alessandro Cardinale, la cui figura affiora attraverso i graffi ottenuti con una punta metallica su una superficie di plexiglas smaltato di nero. Nel Concerto per il mondo silente (2007) di Hana Silberstein ritroviamo echi della poesia chagalliana o della magia del primitivismo di Klee, rivisitati attraverso l’ironia yiddish, che si unisce anche ad una ricerca cabalistica basata ancora una volta sulla corrispondenza ebraica lettere-numeri.
Evoca invece universi magrittiani il bozzetto dell’installazione di Franco Armieri, L’arte di ascoltare (2009), in cui uno sgabello vuoto attende colui che si siederà per primo, godendo dei suoni che lo circonderanno, amplificati da un alto autoparlante.
Non mancano artisti contemporanei del legno, del bronzo e del vetro, a dare il proprio contributo alla mostra con opere a tema, alcune delle quali immerse nel verde del parco, in un suggestivo percorso che apre la mente e lo spirito, a contatto con la natura. Ancestrale e imponente è l’enorme arpa spezzata a metà, in legno di cedro del Libano, a cui sono state aggiunte corde, opera di Aldo Pallaro: III e IV corda rossa (2004). Leonardo Cimolin è invece il creatore di un’arpa dal profilo elegante e multicolore, in ferro battuto curvato a fiamma a mano, taglio al plasma, sabbiato e dipinto con colore oro acrilico a spruzzo, dotata di lunghe e sottili corde di vetro di Murano lavorato a bacchetta.
Il Custode del tempio (2009) dello scultore trentino Bruno Lucchi, esile figura ieratica in bronzo, sembra esercitare sul suo piedistallo di testine sonanti un superiore controllo profetico in sintonia con le forze naturali. Il pugliese Enzo Guaricci gioca con il titolo della sua opera Concerto, con certo, sconcerto (2009) per delineare il senso di straniamento temporale che genera la sua installazione scultorea contemporanea, in cui campane in sequenza costruite ex novo con polvere di marmo, resine e ferro assumono l’aspetto secolare di resti fossilizzati, così come lo spartito “pietrificato” che sta loro innanzi.
Dania Zanotto propone la Druid’s tunic (2004) in garza, lattice, acrilico e alluminio, come un reperto archeologico appena ritrovato, che evoca lucenti sonorità celtiche.
Appese agli alberi e pronte per essere toccate così da risuonare nell’aria sono le sagome tintinnanti (quadrati e dischi) dei Fluttuanti (2007) in acciaio inox satinato di Nadia Costantini, vicine nell’esposizione al silenzioso “pianoforte in stoffa” di Cristina Gori, Sonata per il vento (2009) una installazione ambientale che richiama il suo Linking notes (2009), fotografia e disegno digitale di una mano che suona sulla tastiera. Appaiono come danzanti le eteree “creature” silvestri in resina di Hélène Foata, Musicalità (2009) e Zephire (2007). Pedala (2009) è l’invito scherzoso e rumoroso di Oreste Sabadin a salire sulla sua bicicletta che vede attaccati, fra i raggi delle ruote, assemblaggi di materiali diversi, nuovi e di recupero. Per Antonio Costanzo, firma di uno scritto in catalogo, gli artisti hanno saputo «concretizzare le loro idee e pensieri in opere che diventano “anima” per chi saprà percepire, capire ed interagire con tutti i “suoni” che le compongono»[5].
Claudio Ambrosini, compositore e direttore d’orchestra, vincitore nel 2007 del Leone d’Oro per la Musica alla Biennale di Venezia, è ricordato con alcune opere frutto di sperimentazioni musicali risalenti al 1978, quali Generatore di Rumore Bianco e Progressione geometrica negativa (Flauto).
Tra i video, Christian Rainer & Karin Andersen presentano Stranger (2006), dal titolo della canzone tratta dall’ultimo album di Rainer “Turn Love To Hate”, che ne costituisce il sottofondo musicale: lo straniero-artista è un essere ibrido tra uomo e animale, con orecchie a punta e peli, che non si trova a proprio agio nel mondo perché non sa far proprie le regole comportamentali umane, dalle quali rifugge. Sonia Deotto in A-Hope Ahmedabad Harmonic Orchestra for Peace Everywhere descrive invece la realtà del ritrovarsi insieme, nel segno della musica, di tredici differenti comunità religiose indiane. Da un grande e movimentato concerto all’aperto in video, in nome della pace universale, si passa alle melodie di concerti privati, ancora trattenute nelle gocce di cristallo di un lampadario di Boemia, nell’intimità de La stanza della musica (2008), tela di Elisabetta Vignato. E ancora avanti, sino a giungere al Silenzio (2007), tela iperrealista di Zhou Zhi Wei, in cui una giovane donna nuda giace distesa su di un letto, prona. Sul pavimento, abbandonato, ha lasciato cadere lo strumento dimenticato che forse ha appena suonato. La sua anima dorme e il suo sonno è il sonno della musica, l’anima del suono che riposa.

Versione cartacea:
SONORITÀ VISIVE
L’anima del suono al laboratorio di Ricerca d’Arte Contemporanea Pardes
di Luisa Turchi
 In: “Finnegans. Percorsi Culturali”, n. 16 (numero dedicato a Edoardo Gellner), rubrica meditazioni estetiche, L’Amour Fou, Silea-Treviso, trimestrale, 7 / 2009

[1] M. L. Trevisan, L’anima del suono, in M. L. Trevisan, L’anima del suono, Grafiche Turato, Padova 2009.
[2] M. Zerbi, Sentire a colori, in Trevisan, 2009.
[3] La ghematrià è l’esegesi biblica che si basa sul valore numerico connesso alle lettere dell’alfabeto ebraico: ogni lettera ebraica è dotata, infatti, di un proprio valore numerico, perciò le parole sono costituite anche dalla somma dei valori numerici corrispondenti alle singole lettere.
[4] Leonardo Fibonacci (1170-1240) fu una matematico pisano che scoprì una progressione numerica nei fenomeni della natura: ad esempio, il noto rapporto aureo, corrispondente a circa 1,618 (Phi) e assunto come canone di perfezione classica nell’antichità, sarebbe proprio la risultante del rapporto tra due numeri successivi di Fibonacci, esattamente uguale al rapporto tra una spira del nautilus e quella successiva.
[5] A. Costanzo, Viaggio tra anima e suono, in Trevisan 2009.
 
 
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