Ritmi deperiani
La collezione Fedrizzi a Venezia
di Luisa Turchi


“Ed or un frammento di me, del mio ritratto: blocco multi sfaccettato, più specchi che riflettono la mia faccia”. Ecco un passo di Fortunato Depero, tratto dal suo libro Spezzature, una raccolta di pensieri, componimenti poetici, prose e disegni edita nel 1913, in cui compaiono rimandi al simbolismo, cubismo e al futurismo che diverrà presto la bandiera dell’artista.
Con il passare del tempo gli specchi aumentano, il frammento cresce e lascia trapelare sempre più la mente e l’anima dell’uomo che crea l’Arte, nel suo desiderio di “andare oltre”. Nella sua ricerca personale e artistica, Depero si dichiara entusiasticamente “milionario di fede”, animato da quella sensibilità ardente e tesa che lo mette in contatto con l’Universo, assorbendolo, ricostruendolo e ricreandolo con il suo talento. Già nel 1915, infatti, insieme a Balla, firma il manifesto della Ricostruzione futurista dell’Universo che si propone di superare la pittura e la scultura futurista, le Parole in libertà e l’Arte dei Rumori, ricercando una fusione di tutto ciò, dagli equivalenti astratti alla costituzione di un complesso plastico dinamico. Nell’ambito del vivere quotidiano si compie il passo in direzione delle arti applicate che porteranno poi alla costruzione in tutt’Italia di Case d’Arte futuriste, complete di arredi. La produzione artistica di Depero è perciò assai varia e si distingue per originalità di inventiva.
Collezionare con interesse e passione una quantità considerevole di opere d’arte di uno stesso autore come fece il roveretano Giuseppe Fedrizzi, medico oculista di Depero che fu per lui anche uno stimato amico, significa poter godere di uno sguardo a volo d’uccello sul multiforme itinerario stilistico dell’artista, scandito dalle tappe della sua vita: una condizione privilegiata questa, estesa al pubblico per volere degli eredi Fedrizzi, sia tramite la completa esposizione delle novantacinque opere raccolte al Museo Correr (fino al 3 maggio) nella mostra temporanea a cura di Maurizio Scudiero, che attraverso il deposito a lungo termine a Ca’ Pesaro di gran parte della collezione.
Tutti i periodi artistici sono presenti con uno o più lavori: dagli inizi del futurismo, ai Balli Plastici, al Teatro Magico, alla Metafisica e Architettura della luce, dall’Arte Meccanica alla grafica pubblicitaria newyorkese, all’Art Déco e ai prototipi per la Casa d’Arte futurista con le tarsie di stoffe colorate (i cosiddetti arazzi o quadri di stoffa).


Si parte con la china su carta Busto di donna (1914 circa), studio grafico che rivela un’attenzione per le volumetrie di ispirazione futur-cubista e si prosegue con i disegni realizzati per il teatro. Se il balletto russo Le chant du rossignol con musiche di Stravinskij andò in scena nel 1920, a Parigi, con i costumi di Matisse, anziché quelli deperiani, perché l’artista non rispettò i termini previsti per la consegna di una scenografia plastica e dei trentacinque costumi, restano però i suoi studi preparatori, come il Mandarino cinese, che diventerà un topos caratteristico nella sua produzione. Il significativo incontro, narrato nella sua autobiografia, con un “uomo di nervi e di volontà” quale l’esoterico svizzero Gilbert Clavel, “scrittore, amante del popolo, del verso e della metafisica” e il conseguente soggiorno presso di lui a Capri, che vede le esercitazioni sul Teatro Plastico, è documentato da alcuni disegni eseguiti per il suo libro Un istituto per suicidi, insieme a studi per il Paese delle tarantelle, come Maschere tropicali. La festosità, tra folclore e religiosità, della processione di Sant’Antonio ad Anacapri, dove “la gente ha tolto dai cassettoni le più belle coperte, i tappeti variopinti, i ricami matrimoniali” distendendoli per la città, insieme alla visione dei cori dei chierici, delle donne in nero, dei fiori, degli incensi, delle fiammelle, della natura esultante, gli ispirano opere come Donna + Rosario, intarsio di legni colorati con le aniline. Le sensazioni visive provate allora rimarranno certamente nei suoi ricordi a lungo.
Il superamento del Teatro Plastico, con le sue rigide marionette di legno, avviene poi con l’ideazione del Teatro Magico e di un nuovo attore di scena, un “diavoletto” che è acrobata e ballerino, fatto di gomma e pertanto più agile nei movimenti: il Danzatore di caucciù.
L’inaugurazione della sua Casa d’Arte futurista, che Depero intende come fucina di produzione di arazzi, cartelli pubblicitari, mobili e suppellettili, avviene nel 1919 a Rovereto: è l’occasione per l’artista di una riflessione metafisica sul suo atelier, concepito come antro magico, ove tutto è possibile. In opere come Casa del mago pone al lavoro, in una casa-laboratorio a forma di cubo trasparente, un manichino inondato da un fascio di luce che dipinge su “tela solare con pennello fiamma”: egli porta avanti, in estrema sintesi, l’idea della simultaneità del vedere “dentro-fuori” nel fuoco della creazione. Scriverà anche che le fonti di luce sono “immaginarie, alogiche e artificiali”: si vedano opere come Le ricamatrici - ispirate dalle donne al lavoro nel suo laboratorio, coadiuvate dalla moglie Rosetta - le cui figure sono suggerite dalle direzioni intrecciate e varie della luce. Interni ed esterni di paesaggi ricostruiti e cristallizzati dal sole si susseguono, poiché “i raggi luminosi appaiono come ponti e strade dirette arditamente verso il cielo” e “il sole dà la vita, il sole dà i colori”, donando all’arte, “una nuova architettura”.
L’idea primitiva degli “arazzi” di Depero - in realtà collage di stoffe di differenti colori, prima collocati su supporto di cartone poi su tela - nasce dal recupero dei panni colorati rimasti inutilizzati per i Balletti russi commissionati da Diaghilev. Il successo dei manufatti fu pressoché immediato e la loro produzione è una delle ragioni principali della fama di Depero, noto per la sua vivace attitudine decorativa. Egli parteciperà anche all’ Exposition des Arts Décoratifs et Industriels del 1925 con due opere, in una delle quali, Ritmi veneziani della collezione Fedrizzi, sceglie di movimentare mediante un intreccio di lampioni, bricole e candele, gondole e onde della laguna - i simboli della città - con un acceso gioco di rimandi formali e cromatici, l’idea principe di Venezia passatista criticata da Marinetti (chissà cosa ne pensò quest’ultimo di tale “chiar di luna”!). Accanto agli arazzi ricordiamo i vestiti futuristi (giacche e panciotti, foulard e scialli) nonché i mobili e gli oggetti d’uso, non solo belli esteticamente ma funzionali (una Tunica futurista e un Paralume floreale).


Quasi contemporaneamente Depero porta avanti le sue ricerche atte a rinverdire il dinamismo plastico di Boccioni, esprimendo al contempo l’Arte meccanica futurista: ne sono espressione le opere incentrate sulla fusione spaziale del cavallo e del cavaliere al galoppo, di grande forza e dalla forma aerodinamica, come Nitrito in velocità (1922) eseguito per il collezionista Mattioli. In particolare, a Depero va il merito di aver contribuito, nel delineare i contenuti innovatori del futurismo, al rinnovamento tipografico con il suo libro Depero futurista 1913-1927: si tratta di un libro “bullonato”, ovvero legato non da colla e filo secondo la consuetudine, bensì da grossi bulloni che trapassano le pagine del volume (da un’idea dell’amico Fedele Azari). Il libro-oggetto, che ricevette gli apprezzamenti di Schwitters, è dotato di un’impaginazione singolare: presenta, infatti, lettere di vari formati, frasi che scorrono in più direzioni, unendosi talora a tracciare figure geometriche, su differenti tipi di carta, sottile, spessa, bianca e colorata. L’onomalingua ivi espressa deriva dall’onomatopea e dal rumorismo e si configura come un linguaggio poetico di comprensione universale che sfocia nella verbalizzazione astratta e geometrica di colori, forme, stati d’animo. Sono infiniti gli sviluppi che dal futurismo ad oggi riguarderanno tutte le ricerche verbo-visuali a scopo estetico, ludico e sociale del XX secolo e oltre, che sono state oggetto nel 2007 della mostra La parola nell’arte al Mart.
L’altro versante con cui Depero si misura è legato all’ “architettura dell’effimero”, ovvero agli allestimenti di locali, padiglioni fieristici, luoghi idonei per collocare i suoi progetti di plastica pubblicitaria. Gli anni dal 1924 al 1928 lo vedono lavorare per le industrie più rinomate dell’epoca, come la Campari, con ottimi risultati. Nell’abbozzo del “Manifesto dell’Arte Pubblicitaria” (1929) scrive: “l’arte pubblicitaria è libera da ogni freno accademico, è giocondamente spavalda, esilarante, igienica ed ottimistica. È un’arte di difficile sintesi, dove l’artista è alle prese con la creazione autentica, e la modernità ad ogni costo. È fatalmente necessaria, è fatalmente audace, è fatalmente nuova, è fatalmente pagata, è fatalmente vissuta”. Le sue opere grafiche sono geniali e spesso vengono pubblicate su quotidiani. Tra gli esempi presenti nella collezione Fedrizzi ci sono Biscotti Unica Torino - china su carta - in cui compare un omino a guisa di una marionetta dalle grandi braccia a spiedo ricurvo che inforcano i frollini e quello dell’Acqua San Pellegrino - china e tempera su carta - che si gioca sulla contrapposizione di colore (il nero della bottiglia che contiene l’uomo giallo che beve, i cui piedi, come la sedia, fuoriuscendo leggermente si ricolorano di nero nella luce bianca del manifesto). Depero fa propria la tipologia “alla Cappello”, ovvero il fondale monocromatico sul quale vengono isolati personaggio e prodotto, resi qui in tinte forti, linee diagonali dinamiche. Si assiste all’umanizzazione dell’oggetto pubblicizzato e il lettering - la grafica dei titoli - finisce col diventare immagine stessa. Nel tardo Logo per rotativa Heidelberg (1951), concepito per una brochure dedicata al miracolo della stampa offset con la rappresentazione lineare della lastra metallica che sta per essere collocata sui cilindri a stampa resa attraverso l’immagine della striscia rosa retta dagli omini neri, si ravvisa in nuce il graffitismo di Haring.
La grafica pubblicitaria, assieme all’arredo di interni (i ristoranti Zucca ed Enrico & Paglieri) e ai progetti per costumi e scene, come quelli eseguiti per il Roxy Theatre, lo faranno apprezzare anche a New York (due sono i viaggi che farà: il primo, più proficuo, dal 1928 al 1930, il secondo, meno fortunato, dal 1947 al 1949). Oltre alle copertine realizzate per Vogue, Vanity Fair, The New Yorker, ci sono quelle per la rivista di cinema Movie Makers (coll. Fedrizzi): una con un bizzarro straccione che cammina, l’altra con una ballerina sdoppiata nel movimento, il cui busto e braccia formano anche una testa e le corna di un animale, mentre il ritmo cinetico è evidenziato dalla reiterazione degli arti. L’artista è inizialmente affascinato dalla crescente urbanizzazione americana newyorkese con la viabilità a più livelli e i grattacieli - quasi la messa in opera dell’architettura futurista italiana - e rimane colpito dal pittoresco crogiolo delle razze, elementi che si imprimeranno nella sua memoria concretizzandosi in impressioni simultanee di traffico, strade, ponti, volti. In seguito, però, cade in depressione sopraffatto da tutto quel “metallo per le strade, nelle case e nell’animo”, come dirà nella sua autobiografia Fortunato Depero nelle opere e nella vita (1940), poi tradotta in inglese con il titolo So I Think So I paint.

Riscopre allora le sue origini “montanare” (era nato a Fondo, in cima alla Val di Non) inseguendo una vita più genuina che tradotta nell’arte porta a composizioni simmetriche e razionali. Alle tonalità cromatiche più fredde, alle tematiche bucoliche, talvolta aggiunge rivisitazioni nostalgiche di simbologie futuriste, con la ripresa di architetture della luce in paesaggi quali Notturno alpestre del 1944, con il suo agglomerato volumetrico di case solidificato dalla luce lunare e nei ritmi curvilinei delle abitazioni illuminate da direttrici luminose di Paesaggio aerodinamico. Depero spiega in Dizionario volante che “ad un’epoca aerodinamica non può che corrispondere un’arte plastica aerodinamica. Precisamente un’arte che contiene un disegno sintetico, una colorazione unitaria, vibrante… Una concezione essenzialista, che si accorda alle nostre (futuriste) aspirazioni riassuntive, alle esigenze di un nostro stile”. Ci sono anche, nel repertorio della Raccolta Fedrizzi, una versione del 1937-1938 del Gallo, motivo ricorrente nell’opera deperiana dal Ki-ki-golà - collage semiastratto plastico e volumetrico del 1915 - che ritorna in forma semplificata, nonché una ripresa più statica con qualche tocco di fluidità del motivo del cavallo, in Cavallerizza del 1948 circa. Risalgono inoltre al 1953-1956 alcune decorazioni come Motivo ornamentale per soffitto, Pesci, stambecchi e aquile, pensate per la Sala del Consiglio provinciale della provincia autonoma di Trento, opera complessa ed impegnativa nel suo allestimento globale che gli fa ripensare all’idea di creare la sua Casa d’Arte futurista. Il progetto si trasformerà nel Museo Depero, prima raccolta futurista italiana inaugurata nel 1959, un anno prima della scomparsa dell’artista. Oggi la Casa d’arte, dopo un’interminabile chiusura negli anni, è nuovamente aperta al pubblico e visitabile grazie al recente e accurato restauro di Renato Rizzi e al progetto museografico curato da Gabriella Belli, che hanno saputo riattualizzare il sogno deperiano.
Versione cartacea:
RITMI DEPERIANI
La collezione Fedrizzi a Venezia
di Luisa Turchi
In: “Finnegans. Percorsi Culturali”, n. 15 ( numero dedicato al Futurismo veneto), L’Amour Fou, Silea-Treviso, trimestrale, 4 / 2009, pp. 36-38.