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Vivi l’Italia.
Fotografia d’autore nel ‘900
di Luisa Turchi

È L’Italia dei fotografi. 24 storie d’autore, la prima mostra temporanea di M9 a Mestre. Il percorso espositivo indaga fondamentalmente il contributo autoriale e libero della fotografia italiana dagli anni Trenta a oggi, rapportato in racconti per immagini, ciascuno dei quali correlato a uno specifico progetto, la cui unicità risiede nel singolo «sguardo preciso in un contesto preciso, animato da una intenzione precisa» di ogni fotografo, risposta possibile di Michele Smargiassi al quesito di «quanto italiana sia la fotografia italiana» fin dalle sue origini ottocentesche con i suoi ritardi e omologazioni di gusto sullo “stile Alinari”, in un Paese principalmente destinatario di sguardi.
Denis Curti, curatore della mostra, dimostra quindi come l’Italia diventi a suo modo protagonista nel campo della fotografia documentaria, umanista e di impegno sociale (dalla straight alla street photography e concerned photography), e anche in quella propriamente sperimentale, in un panorama internazionale in continuo movimento, approfondendo aree tematiche che gravitano dal Neorealismo al racconto antropologico, relativamente al vivere di luoghi e persone, fino alle variazioni del paesaggio tra città e periferie. La ricerca sociale si intreccia con il reportage, quando il fotografo più che “interprete” è fedele “testimone” della realtà che lo circonda: Gianni Berengo Gardin insieme a Carla Cerati in Morire di classe denunciano nel 1968 i metodi coercitivi invisi a Basaglia degli ospedali psichiatrici, nell’abbruttimento fisico e mentale dei degenti prigionieri in camicie di forza e legati ai letti e nella disinvolta noncuranza di mani in tasca con il mazzo di chiavi appeso alle cinture dei loro sordi custodi.
Letizia Battaglia fotografa l’irriducibile caparbietà dei boss e la follia omicida della mafia palermitana, la tristezza dei ricordi perduti nel volto in controluce di Rosa Schifani, moglie di Vito, agente della scorta di Falcone, e ancora l’ostilità diffidente di bambine al muro cui hanno tolto troppo presto la capacità di sognare. Ferdinando Scianna ci restituisce il nebbioso materialismo della teatralità delle processioni siciliane del Venerdì Santo; Mario Giacomelli la leggerezza fluttuante e senza peso del girotondo di neri seminaristi nel bianco accecante della neve di Io non ho mani che mi accarezzino il volto, nei primi anni Sessanta. Riccardo Moncalvo riprende il bianco e nero di distese strutturate e uniformi di persone alle colonie elioterapiche torinesi sotto il Fascismo, così diverse dal boom caotico dei corpi dei bagnanti in mezzo al mare alle soglie del Duemila, le cosiddette “farfalle a colori” di Massimo Vitali. Ugo Mulas è il fotografo dei sottili e fumosi equilibri dell’avanguardia di artisti e intellettuali al Bar Jamaica di Milano degli anni Cinquanta, che non conosce ancora la mondanità delle atmosfere di Mondo Cocktail degli anni Settanta immortalate dalla già citata Carla Cerati. Lisetta Carmi apre le porte alla diversità de I travestiti. Arturo Ghergo si occupa della glamour photography, con i suoi scatti eleganti di dive e divi di Cinecittà in posa, mentre Tazio Secchiaroli, fotoreporter d’assalto della “dolce vita” in Italia, è autore di istantanee indimenticabili come fotografo di scena sui set cinematografici di Federico Fellini e Sophia Loren.

Fra le città, trionfa Venezia come sogno evanescente, disabitata, metafisica e surreale nelle sue luci notturne in Luca Campigotto, mentre Fulvio Roiter, veneziano di Meolo, predilige uno sguardo neorealista con accenti formalisti, realtà di alberi dalle chiome corpose o spogli come arabeschi filiformi nella campagna di casa. E ancora Mario De Biasi, fotografo di «Epoca», è autore di servizi accurati sul Belpaese tra Calabria, Sicilia e Sardegna, mostrando usi e costumi delle famiglie di contadini e la scolarizzazione delle nuove generazioni, Nino Migliori ritrae la sua Gente dell’Emilia tra casa e chiesa anche in fotografie volontariamente mosse e dai forti contrasti. Mario Cresci lavora in Ritratti reali sulle identità degli abitanti di Tricarico, con una riflessione di tipo etnico antropologico in sequenze spazio temporali compresenti (famiglie che posano all’interno di case, piani americani, zoom sulle fotografie di antenati o di loro stessi tenute in mano…).
Il tema del paesaggio caratterizza fortemente la Penisola dopo il boom economico e industriale e i fotografi oscillano nell’analisi delle trasformazioni urbane in atto in paesi e città, tra realtà, memoria e desiderio. Luigi Ghirri si sforza di «ritrovare uno sguardo che cancelli e dimentichi l’abitudine», pur nella nostalgica solitudine di un paesaggio agricolo minore, come quello del delta del Po e di certa parte della Pianura Padana degli anni Ottanta; Giovanni Chiaramonte, con i suoi labirinti e scacchiere costruite e integrate nel territorio, ricerca lo spazio del contemporaneo in un «paesaggio che sorge dalla metamorfosi industriale e urbana del secondo dopoguerra […] dove sono egualmente e significativamente presenti tutte le forme e tutte le figure dell’intera storia dell’Occidente, in una condizione esistenziale mai prima conosciuta». Gabriele Basilico con le sue periferie e la reiterazione di rigide fabbriche dismesse o in essere insegue sistematicamente «la ricerca di una nuova bellezza, che non esclude ma che convive con la mediocrità». Paesaggi stranianti sono comuni a Mimmo Jodice e al figlio Francesco: nel primo, l’anima in bianco e nero di Napoli si nasconde nei suoi fantasmi di panni sospesi come pepli decadenti di un passato che si vorrebbe lavare, o in statue di spalle che spiano un futuro negato da cancelli chiusi; nel secondo, il contrasto della disappartenenza si fa colore e luce abbacinante su territori fantascientifici o post apocalittici che, non più familiari o a misura d’uomo, divengono tuttavia nuovi scenari da esplorare persino in viaggio di nozze in Cartoline dagli altri spazi.

Olivo Barbieri lavora sulle Artificial Illuminations delle città di notte, saturandone i colori e restituendone l’ambiguità percettiva tra realismo e realtà virtuale. E mentre Maurizio Galimberti scatta Polaroid intessute di dualismi di coppie in itinere, specchio di un’Italia che ancora sogna insieme, vive e si sposta verso il domani, esplode il rifugio nell’emozione cromatica della fotografia di Franco Fontana che, affine alla color field painting, è sintassi astratto-figurativa di frammenti lineari di aria e terra, di forme e colore assoluto che assurgono a diventare orizzonti trascendentali, epifanie interiori dell’universo in quanto «l’artista, fotografando, inventa soggettivamente la sua realtà», e anche «con lo stesso alfabeto, tutti possiamo scrivere cose diverse». E se è vero che «il filo rosso di tutte queste storie è racchiuso nella precisa volontà di rinunciare a dire più di ciò che la realtà stessa conserva», rendendo altresì visibile l’invisibile, come squarci di luce scritta nell’attimo dello scatto, autentico, puro ed essenziale, oppure filtrato attraverso un’idea e rielaborato secondo la tecnica, la fotografia aprirà sempre a mondi oltre, vicini e lontani.
«L’Italia dei fotografi. 24 storie d’autore»
Fino 16 giugno 2019
M9 Museo del ‘900 – Mestre
Vivi l’Italia.
Fotografia d’autore nel ‘900
contribution di Luisa Turchi
In: “Venews”, n. 231, febbraio 2019, rubrica “Arte Photography”, n. 09 p. 40; Industria Grafica di Renato Valentini, Cadoneghe (Padova).