14 mediterraneo - LUISA TURCHI, storica dell'arte, Giornalista

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Mediterraneo, quiete e colore.
Corrado Balest e il suo mondo “al di sopra”   
di Luisa Turchi

La Fondazione Ugo e Olga Levi ricorda la figura di Corrado Balest, artista di Sospirolo (Belluno), naturalizzato veneziano, in una antologica di ottanta opere a cura di Cristina Beltrami, Martina Massaro e Chiara Romanelli, corredata da un catalogo ricco di contributi che ne ripercorrono la vita e produzione pittorica in ambito figurativo e astratto, si tratti di paesaggio, natura morta e figura. Viene presa in esame anche l’esperienza plastica delle sue sculture quali gessi, bronzi e terrecotte, lavori considerati come un esercizio intimo e sperimentale, sebbene matrici o prosiegui della sua pittura, grafica e incisione (sono noti i disegni e le acqueforti della Fondazione Cini).
Come evidenzia Giorgio Busetto, direttore della Fondazione Levi, che ci racconta dell’«eleganza immemoriale di Balest», il colore appare come elemento dominante nel linguaggio compositivo dell’artista ed è strettamente collegato al disegno che gli fa da contrappeso, in un dialogo continuo di rimandi che costringono chi guarda «alla riflessione, alla ricerca della profondità che sta nascosta in superficie». Non riconoscendosi in alcun gruppo di artisti, Balest si considera un’anima libera, respira la cultura del Novecento anche grazie alla frequentazione di Ardengo Soffici, acquisendo tuttavia un personale punto di vista “al di sopra”.
Fin dagli esordi, suoi riconosciuti maestri sono Guido Cadorin e Felice Carena. Il giovane Balest è dapprima interprete del rigore formale di un ritorno all’ordine figurativo nel suo incisivo Autoritratto e nel solido Ritratto della madre di   spalle, entrambi del 1947.
I suoi Paesaggi sono contraddistinti da una pittura pastosa o rarefatta, ove prevalgono le tonalità di verdi e grigi, i volumi squadrati delle case di impronta cezanniana e cubista immersi nella vegetazione che sfuma, da Paese (1959   Venezia, Ca’ Pesaro) a I molini del Montello (1965).
La natura è “un movente   dell’anima”: la pittura si dissolve nella purezza dei toni di Fiori   bianchi (1950) e Gigli (1956, Venezia, Ca’ Pesaro), mentre il mite influsso morandiano si riscontra in Natura morta con bottiglia (1950). Non mancano riferimenti a Ottone Rosai, Pio Semeghini e Gigi   Candiani. In Montagna inverno (1960), la neve si presta a indagini   che scivolano verso una progressiva perdita del figurativo, conservandone l’idea stessa di un “candore” consumato nella liricità del pensiero che l’ha creato, mentre la modernità liquida dello sfaldarsi   delle pareti delle chiese di Venezia. Gesuiti (1969) risale dai   canali. Raggi di sole brillano nella foschia azzurra della memoria di cieli alle Zattere (1952), la terrazza naturale dei veneziani, scandita da balaustre di sottili grafismi di luce, mentre sedie vuote ricordano il loro sostare. Sarà proprio il tema della “terrazza”, ispirato dalla sua terrazza della casa studio a San Zan Degolà, a divenire spazio inclusivo, interno/esterno, oggetto di composizioni che negli anni Settanta ridefiniscono il suo linguaggio stilistico, poi proseguito nelle Stanze   e nei Mediterranei.
Come scrive Giorgio Baldo, Balest vuol forse affermare che «il mondo è sempre nel suo mattino, che questo è l’altro mondo, che nelle tante stanze del nostro io abita quella più alta, con larghe vetrate». La direzione è data dalla sensualità della risonanza del colore steso in campiture cromatiche accostate, passando per artisti  come Nicolas De Staël, Mark Rothko e Tancredi, ma anche  rielaborando il segno di atmosfere e figure picassiane e matissiane: dal lattescente ripiegamento interiore di Terrazza o marina (1973-1989)  al rosso carico di Casa greca II (1985-1995, Venezia, Ca’ Pesaro), senza  dimenticare la quieta accecante luminosità dei passaggi tonali che investono  la rosea figura dietro la Tenda di Venere, appendice del corpo e un tutt’uno col mare di luce mediterranea.
In Balest c’è spesso un non so che di effetto di “raccoglimento”, una ricerca di protezione, un atteggiamento di chiusura come condizione necessaria per aprire verso l’oltre, e  una donna può nascondersi come una conchiglia preziosa in un bicchiere di   sabbia nel blu cobalto di una notte senza stelle in Marina (1996-1997), o cercare riparo sotto un ombrellone di una Stanza marina (2004),  annegando nei suoi sogni e reminiscenze d’amore. Non a caso, per Stefano Cecchetto, «si potrebbe ricondurre tutto il nucleo della sua opera verso istanze che hanno a che fare con la memoria e con il periodo dell’infanzia e della giovinezza, per quella istintiva concezione del segno che appare libero e riflessivo nello stesso tempo».  
Il vento del Mediterraneo porta con sé anche una rivisitazione dei miti classici, con figure evanescenti come Apollo e Dafne (1995-2005). D’altra parte, non sono mancati in lui echi futuristi formali, sotto l’apparente, composta espressività di soggetti come il Ritratto di Giovanna (1977), in cui la figura della moglie Giovanna Carignani avanza come una fugace apparizione, costruita dalla sua interiore “luce caleidoscopica”.
Per Giandomenico Romanelli i caratteri peculiari di Balest, come uomo e artista, erano «la leggerezza, la trasparenza e un’ironia impalpabile, squisitamente amabile e laica». Nella sua arte c’è invero una progressiva scoperta e conquista dell’intensità piena del colore, che plasma e vivifica. Ma nei nostri occhi resterà sempre anche quell’azzurro lieve, calmo e profondo del mare, la freschezza del biancore del muro di calce, come neve che riposa nella freschezza antica e moderna del suo Mediterraneo (2001).

«Corrado Balest 1923-2016»
Fino 24 marzo 2019
Fondazione Ugo e Olga Levi, Palazzo Giustinian Lolin – Venezia



Versione cartacea:
Mediterraneo, quiete e colore.
Corrado Balest e il suo mondo “al di sopra”
contribution di Luisa Turchi
In “Venews”, n. 232, marzo 2019, rubrica “Arte in città” n. 06 p. 33; Industria Grafica di Renato Valentini, Cadoneghe (Padova).
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